Buongiorno,

benvenute a tutte le persone neo iscritte a La Lettera, la newsletter di Casa Fools dove guardiamo il mondo attraverso gli occhi del teatro, dell’arte e della cultura.

Tra qualche giorno è Pasqua, la festa religiosa ha lasciato il posto a gite fuori porta, grigliate, scampagnate. Celebrazioni della primavera che si manifesta ogni anno con climi glaciali, acque torrenziali, venti di tempesta.
Se non è maltempo, non è pasquetta.

Tranne quella del 2020, ovviamente, quella è stata l’unica col sole.
Che sfiga, anzi: che cazzimma!

L’hai mai sentita questa parola, cazzimma?
Sapresti tradurla?

Ron Mueck, nato a Melbourne nel 1958, ha guadagnato riconoscimento internazionale grazie alle sue sculture iperrealistiche.

In molti ci hanno provato, senza successo.

Cazzimma è una parola napoletana intraducibile che, secondo l’Accademia della Crusca, può essere la “furbizia opportunistica” ma anche “cattiveria subdola”, ma anche “determinazione rabbiosa”, ma anche altre cose e nessuna di queste. Intraducibile.

Le parole che non si traducono si chiamano “reàlia”.

Il termine realia deriva dal latino medioevale e significa “le cose reali”. Sono parole che indicano oggetti, concetti e fenomeni strettamente legati alla cultura di un paese, che non hanno corrispondenti in altre lingue e sono per questo difficilmente traducibili.

Molti realia sono di tipo geografico, come il termine spagnolo pampas, che si riferisce alle vaste pianure dell’Argentina e non ha corrispondenti nelle altre lingue.

In alcune culture sono necessari termini che in altre non lo sono affatto; in italiano, per esempio, non abbiamo bisogno di una parola che identifichi in modo immediato un grande branco di renne, mentre in finlandese questo termine esiste: tokaj.

In Namibia c’è il termine hanyauku che significa “camminare in punta di piedi sulla sabbia calda”. A noi non serve, perché sulla sabbia calda tutt’al più imprechiamo.

Non avere una parola, quindi, significa non aver bisogno di quel concetto?
Non esattamente, eccoti una serie di parole intraducibili in italiano che molto probabilmente avresti usato, se solo le avessi avute:

Cresciuto in una famiglia di burattinai e creatori di bambole, Mueck ha iniziato la sua carriera come direttore creativo per programmi televisivi per bambini.

Schadenfreude
Questa parola tedesca si riferisce alla sensazione di gioia e soddisfazione derivante dalla sfortuna o dalla disgrazia altrui. In italiano può essere tradotto con “aticofilìa”, derivato dal greco “átikos” (sfortunato) e “phílos” (amante), cioè amante delle sfortune altrui. Il fatto che i greci, 3000 anni fa, già avessero un termine per descrivere questo sentimento deve convincerci del fatto che siamo veramente animali deplorevoli. Ma vabbè.

Tsundoku
Parola giapponese che si riferisce all’atto di acquistare libri e lasciarli accumulare senza mai leggerli.
Se i nostri comodini sapessero di questo vocabolo…

Gigil
Il termine filippino gigil descrive il desiderio irresistibile di stringere qualcosa o qualcuno in modo affettuoso. È un’emozione che spesso sfocia in un’azione fisica, come quando prendiamo a sbaciucchiare bambini, cagnolini, gattini e tutti gli altri -ini. O quando la zia ci dava amorevolmente i pizzicotti sulle guance. Zia, ne ho un pessimo ricordo, sappilo.

Le sue sculture sono spesso di dimensioni diverse, ma tutte condividono un livello di dettaglio sorprendente. Mueck si concentra su particolari come le rughe della pelle, i capelli e le espressioni facciali. Questo livello di precisione rende le sue opere
incredibilmente coinvolgenti.

Tarab
Tarab è una stupenda parola araba che indica la sensazione di benessere ed estasi che si prova quando si viene rapiti da una melodia.

Hai un bambino che continua a chiedere perché, perché, perché…?
Tu chiamalo: Pochemuchka (pacimuchka).
Pochemuchka è una parola russa che rimanda ai bambini che chiedono continuamente “perché?”. “Perché” in russo si dice pochemu, come fosse “perchèino, perchèoncello, il bambinodeiperchè”.

Ultimo termine, di nuovo giapponese, che accomunerà moltissime persone che leggono La Lettera:

Age-otori
Quando, usciti dal parrucchiere, stiamo peggio di quando siamo entrati!

Mueck ha lavorato nel settore cinematografico e pubblicitario. Ha creato effetti speciali per film come Labyrinth (1986), quello con David Bowie, l’hai mai visto?

Per quanto riguarda la lingua italiana molti realia sono legati alla cucina (e ti pareva…): spaghetti, pizza, mozzarella non si traducono, anzi sono diventati vocaboli inseriti in altre lingue.
Così come un altro grande prodotto del nostro export: la mafia. Mafia non si traduce. Che bello. Che orgoglio.
Non si traducono i termini musicali: crescendo, diminuendo, allegro, andante, staccato… sono scritti in italiano su qualsiasi spartito.

Non si traduce il termine “struggimento”, quello stato d’animo misto di ansia e sofferenza che consuma e non dà tregua. Ve li immaginate gli scandinavi che si struggono? Serve molto di più a noi, inventori del melodramma.

“Meriggiare” non si traduce, ma è poco conosciuto anche da molti italiani.

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Così comincia una splendida poesia di Montale, “meriggiare” significa riposare all’aperto durante le ore più calde sotto una piacevole ombra.
Fare la pennica, la siesta, ma anche passare il pomeriggio.

A proposito! Sai pennichella da cosa deriva? Dal latino pendiculare, cioè pendere, ovvero quando la testa, dopo un lauto pasto, ti pende,
in napoletano si dice “scapuzziàre”.
In spagnolo, e anche in italiano, si dice siesta, perché deriva dal latino sesta, l’ora sesta, ovvero mezzogiorno.

Che se ne fanno di questo termine paesi che devono sfruttare al massimo le poche ore di luce che madre natura gli dà? Ci manca pure che si mettano a dormire! Mentre per i popoli del mediterraneo è fondamentale lasciar passare le ore di canicola per poi riprendere i lavori, quindi hanno bisogno di una parola per descriverla.

Fino al 10 marzo la Triennale di Milano ha ospitato la prima personale in Italia. Ormai è tardi e ci stiamo mangiando le mani anche noi, ma appena torna in Italy ti avvisiamo.

È una questione antropologica, cioè modi di essere al mondo.
Per questo le parole sono importanti: più ne conosciamo più abbiamo termini per descrivere cosa sentiamo, cosa vediamo, cosa viviamo.

Questo ammasso di segni che usiamo ogni due settimane per comunicare con te non è solo un mezzo, ma un potente veicolo di identità culturale. Ogni lingua racchiude in sé la storia e il pensiero di una comunità; è un modo di sentire la realtà, di pensare.

Le parole sono la goccia che, giorno dopo giorno, scava la pietra dei cambiamenti sociali.
Ma non si può imporre dall’esterno, la lingua non si modifica a norma di legge, segue degli adattamenti che si possono osservare solo a distanza di anni.

Guarda come ci esprimiamo ora, quanta abbondanza di neologismi (cioè nuovi termini) sono diventati di uso comune nel nostro vocabolario: call, boomer, cringe, droplet, friendzonare, ghosting… tutti termini presenti nella pagina della parole nuove inserite dalla sopracitata Accademia della Crusca, vuoi dare un’occhiata?

Nessuno le ha imposte, le abbiamo scelte, giorno dopo giorno, per abbreviare concetti, sintetizzare, facilitare la comunicazione.

Per questo ci sarebbe tanto da dire sulla battaglia della “lingua inclusiva”, perché l’imposizione, anche morale, non induce direttamente un cambiamento. Magari in futuro ne parleremo.

Intanto, quali sono le parole intraducibili del tuo dialetto? Della tua lingua?

Chiudiamo questa breve carrellata, se ti è piaciuto puoi trovare altre cose sue qua.

Una parola bella bella bella è “condividere”, quello che ti chiediamo di fare di queste Lettere, girale a chi pensi possano interessare, allarghiamo la grande famiglia di Casa Fools, diffondiamo cultura, apertura, bellezza.

E se puoi, vienici a trovare di persona, ecco cosa abbiamo in programma nei prossimi giorni.

Il teatro è un’esperienza intraducibile.